Andersen

Questo spazio è dedicato alla partecipazione al premio Andersen e conserverà le fiabe prodotte dai bambini della scuola Primaria.

Quello che segue è il lavoro collettivo prodotto dai bambini della classe. Dopo aver inventato una fiaba, partendo da un quadro che avevano visto alla mostra su Rubaldo Merello, i bambini l’hanno illustrata riproducendo il paesaggio amato e più volte ritratto dallo stesso artista.

Il rosso e il blu

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C’era una volta Rubaldo Merello, un pittore che amava i paesaggi del Levante ligure. Andava a camminare spesso lungo i ripidi sentieri del monte di Portofino.

La collina nella quale amava avventurarsi, aspra ma bellissima, era ricoperta da una grandissima varietà di piante: gli ulivi, i lecci, i corbezzoli, i pini marittimi.

Rubaldo non era né grasso, né magro, era robusto, non era tanto alto e quando si arrampicava per le scarpate, a volte, si confondeva fra gli arbusti.

Aveva i capelli castani, gli occhi azzurri. Era piuttosto elegante, indossava dei pantaloni neri con una cintura nera dalla fibbia dorata, una casacca rossa e un bel papillon.

Spesso metteva un grembiule con una grande tasca, come fanno molti pittori.

Era un tipo schivo e solitario: nei suoi quadri dipingeva solo paesaggi, le persone non le disegnava mai.

Era gentile soprattutto con quelli che conosceva.

Quando dipingeva si portava una tela, dei pennelli, degli acquerelli e delle tempere.

Con le sue mani esperte pitturava in modo raffinato.

Aveva anche un cappello che portava sempre con sé e una bottiglietta d’acqua che teneva a portata di mano e andava a riempire al ruscello o a una fontanella.

Quel giorno d’estate, fece una lunga passeggiata sulle alture di San Fruttuoso, un luogo che conosceva molto bene perché ne aveva fatto il soggetto dei suoi quadri.

Faceva fatica ad arrampicarsi sui sentieri stretti.

Stava cercando il punto di vista ideale per ritrarre di nuovo l’antica abbazia.

Un luogo magnifico, un edificio di colore grigio e bianco, costruito sulla roccia e sovrastato da una grande cupola con un lungo porticato nella parte in basso.

Finalmente giunse in una piccolissima piana, il luogo perfetto da cui osservare il convento.

Prese la tela, l’appoggiò fra i rami di un corbezzolo e cominciò a stendere il colore con lunghe pennellate.

Sperava di cogliere la luce rossa del tramonto, ma nel frattempo si era fatto buio.

E i colori intorno erano cambiati.

Quella sera infuriava una grande mareggiata, onde altissime si infrangevano tra gli scogli.

A Rubaldo piaceva molto il profumo del mare in tempesta.

Era la serata ideale per trovare l’ispirazione giusta.

Socchiuse i suoi occhi grandi e profondi, capaci di catturare le infinite sfumature della luce, ed entrò in un profondo stato di meditazione creativa.

Con pennellate simili a tanti fili cercò di riprodurre le onde del mare. Ad un tratto accostò al blu cobalto, che ricopriva tutta la tela, spruzzi di bianco perlaceo e il quadro si illuminò: finalmente era riuscito a cogliere la magia segreta di quel luogo.

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Essendo sopraggiunta la notte, si trovò un posticino per dormire sotto il porticato del convento, portando con sé il quadro che aveva dipinto, si appisolò, soddisfatto e stanco, stringendo il quadro in una mano.

Ad un certo punto arrivò uno scoiattolo, si avvicinò silenziosamente, morse la mano del pittore e gli portò via la tela.

Il pennello, che era rimasto appoggiato sulla tela, volò nelle acque agitate del mare.

Lo scoiattolo aveva come capo un criceto, che, a sua volta, era in contatto con un collezionista d’arte.

Quest’ultimo si nascondeva a Genova, nei sotterranei di palazzo Ducale. Si faceva chiamare Voldemort Arizona, era una persona un po’ bizzarra, vestiva in modo sempre elegante utilizzando prevalentemente colori sgargianti come arancione, verde e giallo; indossava pantaloni con tantissime tasche, dove nascondeva monete d’oro per pagare gli autori dei furti che commissionava.

La sua faccia era paffutella, il naso a patata e le orecchie a sventola. Aveva, però, una mente molto abile e con gli occhi scurissimi scrutava con attenzione intorno a sé per cogliere qualche indizio che lo conducesse ad un’ opera d’arte.

La sua grande passione era possedere quadri e cercava costantemente nuovi dipinti per arricchire la sua collezione.

Tempo prima si era imbattuto in un quadro appeso nella bottega di un ortolano; ne era rimasto molto colpito.

Quel dipinto era speciale, risplendeva della luce del tramonto, i suoi colori preferiti (giallo, arancione, rosso).

Il paesaggio era stato realizzato su una tela rotonda e non era molto grande.

Rappresentava San Fruttuoso nei minimi particolari, si vedeva il mare mosso, l’abbazia e tutta la vegetazione intorno.

Il luogo dipinto era difficile da raggiungere.

Il colore prevalente era il rosso e si potevano notare delle piccole sfumature di giallo, erano colori bellissimi che solo ad osservarli riscaldano il cuore; c’erano tutte le sfumature dei colori caldi.

Il quadro con tutto quel rosso sembrava esplodere.

E anche il desiderio di possedere quell’opera era esploso nell’animo del collezionista.

Cercando di mostrarsi tranquillo, aveva chiesto informazioni sull’autore del quadro.

– E’ un tipo strano, aveva risposto l’ortolano,

– bravo ma tanto “sarvego”, mi ha dato il quadro in cambio di un chilo di patate e due pomodori.

Il collezionista aveva drizzato subito le sue orecchie.

– E chi è, dove posso trovarlo?

– Di solito si aggira sulla collina di San Fruttuoso…

Fu così che Voldemort Arizona aveva chiamato in aiuto i due delinquentelli affinchè trovassero il pittore e gli procurassero almeno uno dei suoi quadri.

Il criceto era la mente della banda, era di corporatura robusta, aveva una benda sull’occhio destro, era diabolico, spietato, pazzo, si arrabbiava per niente, faceva puzzette pestilenziali perchè rosicchiava qualunque cosa gli capitasse a tiro.

Mordeva le sue vittime con i suoi dentini aguzzi.

In più nascondeva un segreto: in realtà era una femmina, ma si spacciava per maschio per sembrare più forte.

Aveva deciso di fare quel colpo perchè aspettava otto cuccioli e non avrebbe saputo come sfamarli.

Aveva come aiutante lo scoiattolo che invece era un tipo meno scaltro.

Quest’ultimo aveva le orecchie intrecciate, una cicatrice sulla guancia sinistra, era cieco dell’occhio destro e aveva un tatuaggio a forma di teschio sulla pancia.

Anche lui nascondeva un segreto: si era sempre spacciato per uno scoiattolo per darsi un tono, in realtà era il marito del criceto.

Il suo lavoro si limitava a rubare i quadri per darli alla moglie, cioè al criceto.

Rubaldo corse verso la riva del mare per acciuffare lo scoiattolo, ma di lui si erano perse le tracce.

Poco dopo incontrò, invece un pescatore che si chiamava Kevin Ghandi, suo amico.

Era un giovane magro con i capelli lunghi, la barbetta, era gentile e premuroso.

Ogni giorno andava a pescare, portandosi un panino al prosciutto, che spesso condivideva con i pesci.

Kevin era sempre disponibile ad aiutare Rubaldo anche quando aveva altri impegni e quindi anche quel giorno decise di aiutarlo.

Dopo aver cercato di qua e di là, il pescatore e Rubaldo incontrarono il cane Book, che era solito vagabondare per il piccolo borgo di San Fruttuoso.

– Hei, Rubaldo, so che ti hanno rubato un quadro, conosco una persona che può aiutarti!

– Ah,come si chiama?- domandò Rubaldo.

– Si chiama Frida Mandela ed è la cuoca del convento.

Rubaldo prese il pennello e con Ghandi si recarono presso la cucina dell’abbazia.

Lì trovarono una donna grassa e sorridente, intenta a cucinare un tacchino.

Le chiesero se avesse visto qualcosa di sospetto e lei rispose:

– Vi devo dare una brutta notizia, ho visto un grosso criceto rosicchiare una tela blu. Era forse la tua?”

Rubaldo scosse la testa sconsolato e senza rispondere si allontanò seguito dal suo amico Kevin.

– Non perdiamoci d’animo, cerchiamo ancora, forse un aiuto ci può arrivare dal mare ! – esclamò il pescatore.

E così notarono che un delfino si stava avvicinando alla riva.

Era di colore verde acqua brillante, con le pinne argentate, il musetto azzurrino e il nasino verde.

Era un gran giocherellone e anche birichino.

Gli piaceva inseguire le barche a vela, amava tuffarsi fra le onde e saltare come un pazzerello.

Il suo nome era Jack e naturalmente lui e Kevin si conoscevano molto bene.

Ed ecco che il simpatico mammifero emerse dall’acqua, tenendo in bocca un oggetto allungato …

– E’ il mio pennello preferito! – si mise a urlare il pittore – Ma dove l’hai trovato?

– Galleggiava fra le onde…… e così l’ho preso per giocarci.

Rubaldo, felicissimo, ringraziò il delfino – e Kevin aggiunse:

– Sei davvero un amico!

Per tutta risposta il delfino fece una serie di salti e poi si allontanò, contento, fra le onde.

Rubaldo prese fra le mani il pennello, accarezzò le sue setole.

Il pennello del pittore era fatto di peli di cinghiale, aveva un manico di legno di ulivo.

L’aveva costruito l’artista stesso intagliando uno dei rami di ulivo della collina.

Un albero secolare che possedeva dei poteri magici.

Qualche tempo prima, Rubaldo aveva trovato dei peli di cinghiale nel bosco e li aveva conservati pensando che potessero servirgli per dipingere. Quel pennello, costruito da quell’omino schivo ma ricco di sogni, aveva conservato il potere magico dell’albero.

Rubaldo confidò all’amico che con quel pennello era riuscito a esprimere quel colore che aveva dentro di sé e che lo portava a vagabondare giorno dopo giorno.

– Caro Kevin, in quel quadro c’era tutta la mia anima… e i suoi occhi si riempirono di lacrime.

Kevin, commosso a sua volta, gli appoggiò una mano sulla spalla e gli fece coraggio.

Il pescatore salutò il pittore e si allontanò.

Rubaldo ripose con cura l’amato pennello nella tasca più grande del grembiule, si preparò un giaciglio di fortuna e si addormentò sfinito.

Il pennello, che aveva assistito in silenzio alla conversazione e ne era rimasto turbato, pensò di aiutare quell’omino che lo aveva creato.

Il mare aveva portato sulla riva una tavola ben levigata, con pennellate veloci cominciò una specie di danza proprio su quella tavola, volteggiava mentre in sottofondo si sentiva solo il rumoreggiare delle onde che si infrangevano sugli scogli.

Pennellate e pennellate sempre più veloci, colori che si mischiavano a colori fino a ottenere un blu incredibile, un blu acceso, un blu brillante, un blu luminoso.

Tutto il quadro si illuminò.

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Quel blu faceva brillare il mare, l’abbazia e tutto il monte di Portofino! Alla luce della luna i capelli di Rubaldo sembravano argentei, ma lentamente l’argento lasciò posto al blu.

Alle prime luci dell’alba Rubaldo venne svegliato da un lieve miagolio. Era la gatta Vanessa, che abitava nel campanile dell’abbazia.

Si guardò attorno e notò che, a pochi passi da lui, c’era una tavola di legno.

Si avvicinò e davanti ai suoi occhi ecco comparire il quadro: il “suo” quadro perfettamente riprodotto nella forma, ma ancora più bello e luminoso nel colore.

Il pittore rimase sbalordito e incredulo.

-Ma come è possibile! Chi ha compiuto questa magia?

A quel punto fu la gatta a fornirgli la spiegazione.

– Caro Rubaldo, è stato il tuo pennello ! Devi sapere che a me piace tanto gironzolare di notte … così ho visto tutto…

– E cosa hai visto ?

– Semplice, ho visto il tuo pennello scivolare fuori dalla tua tascona, avvicinarsi alla tavola e stendere i colori con grande maestria!

Rubaldo guardò e dalla tasca vide sporgere la testa del pennello, che si produsse in una specie di inchino come a confermare le parole della gatta.

Il pittore prese il quadro, salutò Vanessa e finalmente tornò a casa per mostrare la sua opera alla famiglia.

Ma mentre si inerpicava per il sentiero che portava verso casa, sentì uno squittire piagnucoloso: ero lo scoiattolo che cercava di consolare la sua signora che con la mania di rosicchiare tutto, aveva distrutto il quadro che avrebbe dovuto dare al collezionista e adesso tremava di paura.

Rubaldo lo riconobbe ma non disse nulla, lui, invece si rese conto di aver fatto del male ad un uomo gentile e buono che non meritava assolutamente quello che gli aveva fatto e si sentì in colpa.

Disse alla moglie che forse quell’omino così gentile, con quegli occhi dolci e così bravo a dipingere forse addirittura li avrebbe potuti perdonare. Decisero di confidarsi con Rubaldo e gli dissero che erano una famigliola di criceti che di lì a poco sarebbero diventati genitori di otto splendide creature e per questo si erano lasciati convincere dal collezionista, che altri non era che l’ex direttore di palazzo Ducale, che tempo addietro era stato cacciato per una storia di furti di opere d’arte e che adesso si nascondeva nei sotterranei.

Qualche tempo dopo il pittore si recò con loro dai gendarmi e denunciarono il fatto ma nel frattempo il collezionista era riuscito a scappare lasciando nei sotterranei del palazzo tutte le opere d’arte che furono restituite ai legittimi proprietari.

Tutta la storia arrivò alle orecchie del nuovo direttore di Palazzo Ducale che volle conoscere il pittore.

Rubaldo si recò a palazzo con il pennello e la sua ultima opera.

Il direttore rimase molto colpito da quel quadro ed esclamò: – Non ho mai visto un blu così straordinario, d’ora in poi lo chiameremo blu Merello.

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